Il 3 luglio del 1883 nasce a Praga Franz Kafka. Proveniente da una famiglia ebraica borghese, fu introdotto dal padre nel mondo del commercio, come tanti ebrei dell'epoca, per divenire poi impiegato nelle assicurazioni. Cercò nella scrittura la libertà che la società del suo tempo gli negava, ma in vita non pubblicò quasi nulla. Possiamo leggere i suoi capolavori solo perché il suo amico e curatore testametario Max Brod gli disobbedì e li fece pubblicare. Prima di morire, infatti, Kafka aveva dato precise istruzioni all'amico: distruggere tutti i suoi manoscritti e assicurarsi che non avrebbero mai visto la luce del sole.
Kafka amava la scrittura e aborriva la carnalità e la sua stessa corporeità. Egli stesso racconta il disgusto per il proprio corpo quando il padre accompagnandolo in piscina lo costringeva a denudarsi. Lo stesso senso di ripugnanza egli lo esprimeva nei confronti dell'amore sessuale, che descrive ad esempio nel Castello come qualcosa di sporco e che riduceva l'uomo all'animalità.
Ebe rapporti sessuali probabilmente solo con l'amata (e orripilante, nelle stesse descrisioni di Kafka) Felice Bauer, con la quale fu fidanzato ufficialmente per un paio d'anni.
Quando si seppe malato di tubercolosi, nel 1917, ruppe il suo rapporto con lei. Brod ricorda che fu quella l'unica volta in cui vide piangere il nostro Franz. Kafka muore il 3 giugno del 1924, un mese esatto prima di compiere 41 anni.
Lessi per la prima volta i suoi racconti, nella versione pocket longanesi vecchia anni'60, in un paio di giorni in cui ero a casa da scuola, al ginnasio, per un'influenza. Trovai il libro negli scaffali di casa, era lì da diversi anni.
L'insieme costituito dalla febbre intorno a 38° e la visionarietà di Kafka risultò un ottimo cocktail.
Il pezzo forte della raccolta è La metamorfosi.
Geniale l'inizio: al risveglio Gregor Samsa si ritrova trasformato in scarafaggio. Non mi hanno mai spaventato o disgustato gli scarafaggi, quindi mi sono accostato totalmente libero da condizionamenti al racconto. L'atmosfera della narrazione oscilla fra realtà quotidiana e allucinazione, un bel mix, equilibrato e stimolante. "Bisogna attenersi ai fatti", scriveva Althusser da un manicomio, "ma anche le allucinazioni sono fatti". Ecco, ben si adatta alla Metamorfosi, questa frase di Althusser.
Dentro a questa atmosfera strana ci sono tutte le tematiche che poi Kafka svilupperà nei romanzi: la solitudine dell'individuo; l'incomprensibilità della realtà; la critica al potere e alla burocrazia; la morte come liberazione. Lo stile di scrittura è ironico e paradossale, per cui la tragedia sfuma in un'angoscia sottile che ti pervade.
L'opera più complessa di Kafka è la trilogia di romanzi incompleti. Il primo è America, scritto fra il 1912 e il 1916.
Narra le vicende tragicomiche di un sedicenne costretto da una colpa originaria (una serva lo aveva sedotto e aveva avuto un bambino da lui) a lasciare Praga per gli Stati Uniti. Là incontra la tecnologia che lo isola e in qualche modo lo condanna a una perdizione, inghiottito da ingranaggi che non capisce. Karl è un disperso, uno spaesato, come lo straniero di Camus. La felicità, intravista ogni tanto, porta sempre e comunque il protagonista a cadere in disgrazia.
Il secondo è Il processo, scritto nel 1917-18.
Il linguaggio può essere solo allusivo, diceva Kafka. Questa diviene una chiave di lettura e di interpretazione del Processo di tutto il resto. E probabilmente Kafka allude con le sue allucinazioni alla propria vita quotidiana, trascorsa come un lungo esilio linguistico (scrittura in tedesco vivendo a Praga), culturale (ebreo) e lavorativo (costretto dietro la scrivania di un ufficio, con un sorriso di circostanza freddo e vuoto, erede delle insonnie notturne dovute ad ansia ed emicrania, lui, dall'immaginazione implacabile).
Ne Il processo c'è un altro tipo di estraneo, rispetto ad America: si porta addosso una colpa che non conosce, l'inquisizione burocratica, col paradosso di una legge che è nota esclusivamente a quelli che ne stanno fuori. E chi non la conosce è sempre colpevole e non può sottrarsi al suo rigore.
Il terzo è Il castello, scritto nel 1922.
Terzo capitolo della trilogia sull'assurdità della vita, terzo incompiuto, terzo "tradimento" dell'amico Max Brod, che contravvenendo alle volontà di Kafka, fece pubblicare tutto ciò che trovò in casa di Franz, con la consapevolezza di trovarsi davanti a capolavori, anche se, come i romanzi, incompiuti. Il Castello è la metafora dell'inaccessibilità della Grazia, una delle forme della divinità nella Kabbala ebraica; l'altra è la Giustizia, rappresentata nel Processo. Se c'è un Dio, sembra allora dire Kafka, oltre che inaccessibile è incomprensibile, perché incomprensibile è il mondo da Lui creato. E la scrittura diviene per Kafka l'unico possibile strumento di riscatto, di sottrazione di sé all'infelicità con la forza dell'immaginazione. Una scrittura che Franz aveva previsto e pensato come autoreferenziale e autistica, ma che il "tradimento" di Brod ci ha restituito e ha sottratto all'oblio.
Un tradimento di cui gli siamo riconoscenti.
Tomba di Franz Kafka nel cimitero ebraico di Praga, uno dei luoghi più suggestivi della capitale ceca.
Il blog di Mattia Toscani, il blog del romanzo La schiuma della memoria, La rosa della settimana
La schiuma della memoria
Qui si parla innanzitutto di un romanzo, uscito nel novembre del 2010 presso le edizioni Montag di Tolentino.
Il titolo è La schiuma della memoria e l'ho scritto io.
Poi si parla e si scrive di altre cose, di fotografie e di film, di libri letti e di teatro, di teatroterapia e di paesaggio. E di altro ancora. L'intenzione è comunque quella di raccordare la memoria con l'attualità per ritrovare il senso perduto degli eventi e per non dimenticare personaggi che con le loro vite hanno scritto pagine di storia non solo privata, ma anche collettiva. Molti di essi sono i miei riferimenti culturali e di valore. Il romanzo stesso dialoga con questi contenuti, in modo dinamico, in costante evoluzione, perché la memoria non è cristallizzazione ma è senso e significato. Mi piacerebbe che la lettura del blog desse anche il piacere della scoperta e di un punto di vista sul mondo spostato dalla norma, in qualche modo sorprendente. Buona lettura.
Il titolo è La schiuma della memoria e l'ho scritto io.
Poi si parla e si scrive di altre cose, di fotografie e di film, di libri letti e di teatro, di teatroterapia e di paesaggio. E di altro ancora. L'intenzione è comunque quella di raccordare la memoria con l'attualità per ritrovare il senso perduto degli eventi e per non dimenticare personaggi che con le loro vite hanno scritto pagine di storia non solo privata, ma anche collettiva. Molti di essi sono i miei riferimenti culturali e di valore. Il romanzo stesso dialoga con questi contenuti, in modo dinamico, in costante evoluzione, perché la memoria non è cristallizzazione ma è senso e significato. Mi piacerebbe che la lettura del blog desse anche il piacere della scoperta e di un punto di vista sul mondo spostato dalla norma, in qualche modo sorprendente. Buona lettura.
domenica 3 luglio 2011
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