Tremonti dixit, per giustificare i tagli agli enti culturali e alla cultura in generale (scuola, università, teatro e cinema) che caratterizzano l'operato di questo governo: "La cultura non si mangia".
Feuerbach non sarebbe d'accordo. Per Feuerbach ognuno è quello che mangia, ma la sua affermazione va intesa anche in senso culturale. La cultura è il cibo intellettuale, nutre la mente.
La tv spazzatura ci nutre di schifezze. La tv di intrattenimento di pessima qualità alimenta l'incapacità di critica autonoma, fa rimescolare ogni ingrediente dentro un frullatore, così anche l'informazione dei tg (eccezion fatta per tg3, rai news e il tg di La7) diviene spettacolo innanzitutto.
Sul mangiare cultura e l'essere mangiati, è interessante tutta l'opera di Pasolini, ucciso la notte fra l'1 e il 2 novembre del 1975 al lido di Ostia.
Il terzo film di Pasolini è La ricotta (1963), che fa parte di un film a episodi, genere molto in voga all'epoca, Rogopag.E' un film sulla fame, sulla povertà. Il protagonista, Stracci, è una comparsa in un film sulla passione di Cristo (un film nel film dunque), in cui le scenografie si ispirano espressamente al Pontormo e al Rosso Fiorentino. La preoccupazione principale di Stracci è quella di procurarsi cibo, per sé e per la sua famiglia. Quindi fa la fila due volte travestendosi da donna per potersi accaparrare due cestini pranzo.
Ruba poi un cane, il cane di una diva, e lo rivende a un giornalista. Coi soldi si procura della ricotta, che provvede a nascondere in una grotta. Stracci morirà di indigestione, sulla croce, interpretando uno dei ladroni; morendo in realtà come un povero cristo.
Il film ci mostra due modalità opposte del mangiare, come ricorda Bazzocchi nel suo bellissimo I burattini filosofi (Bruno Mondadori, 2007).
"Da una parte il regista colto e cinico (Orson Welles) che si è cibato di cultura figurativa e ora la ripropone al suo pubblico per nutrirlo, la povera comparsa affamata che cerca ossessivamente da mangiare e muore sulla croce per indigestione".
La Passione vera è quella molto concreta di Stracci, non quella estetica e intellettuale del regista impersonato da Orson Welles.
In un intervento precedente l'anno del film, Pasolini aveva revocato la favola del lupo e dell'agnello, dichiarando di rischiare la fine dell'agnello: "anch'io ho qualche probabilità di essere mangiato".
E in Uccellacci e uccellini, film del 1965, il corvo parlante, che accompagna le picaresche avventure dei due protagonisti sopraffatti (Totò e Ninetto Davoli), viene da questi mangiato, proprio nel finale. C'è un ribaltamento rispetto alla Ricotta. Nel film precedente, infatti, il poveraccio moriva di indigestione di fronte al regista intellettuale preoccupato solo di nutrire il suo pubblico; qui, invece, i due poveracci divengono sopraffattori, divorando il corvo intellettuale marxista, nel quale Pasolini ha sempre indicato un alter ego di sé. La morte del corvo, dunque, rispecchierebbe la preoccupazione di Pasolini, di essere mangiato non solo dai nemici, ma anche dagli amici, dai compagni di strada. Stracci e il corvo sono vittime sacrificali.
Il corvo è un intellettuale, quindi nutrirsi di lui significa anche, però, acquisirne il pensiero, proseguirne l'opera, se la digestione è buona e il cibo ben assimilato.
Lo stesso corvo dice a un certo punto: "I professori sono fatti per essere mangiati in salsa piccante, però chi li mangia e li digerisce diventa un po' professore anche lui". Metafora allusiva molto chiara: il corvo, l'intellettuale, deve essere mangiato per essere assimilato dai due personaggi. E allora il rapporto fra cibo e cultura è molto stretto e la cultura stessa diviene cibo caro (mica tanto, garantisco) Tremonti.
E ancora questo tema attraversa il cinema di Pasolini anche negli anni successivi, in particolare con Porcile e Salò.
In Porcile (1969), film in cui si intrecciano nel montaggio due episodi, uno antico e uno moderno, sono presentate due forme di cannibalismo. Nell'episodio antico, un giovane cannibale, che fa parte di una banda di delinquenti atei e anarchici che vive depredando e poi divorando viandanti che attraversano una zona rurale semidesertica,una volta che è stato catturato, prima di essere ucciso, ripete tre volte (e sono le uniche parole del film): "Ho ucciso mio padre, ho mangiato carne umana e tremo di gioia".
Nell'episodio moderno, ambientato negli anni sessanta, il figlio di un industriale tedesco, coinvolto in loschi traffici coi nazisti durante la guerra, viene divorato dai maiali nel porcile, dove si recava a compiere innominabili atti sessuali.
E se la cultura è cibo, vale anche l'affermazione rovesciata, cioè anche il cibo è cultura, è uno degli elementi materiali e uno dei più significativi della cultura.
La metafora contenuta in Salò (1975) è allora l'ultimo feroce attacco di Pasolini al consumismo, alla società dei consumi che ha cancellato la cultura contadina: i giovani prigionieri dei repubblichini sono costretti, a un certo punto, come forma di tortura, a mangiare merda, servita a una tavola grottescamente imbandita.
Attenzione, signori, ormai state mangiando merda, ci costringono a mangiare merda, ci dice senza ambiguità Pasolini, e non è un buon nutrimento.
I cibi poveri e dignitosi della civiltà contadina hanno lasciato il posto ad alimenti industriali, pubblicizzati come gli elettrodomestici e i capi d'abbigliamento.
Rispondendo a Calvino che gli aveva rimproverato di rimpiangere l'Italietta, Pasolini difese con orgoglio tutto il suo lavoro, che l'iItalietta "piccolo borghese, fascista, provinciale e democristiana" aveva osteggiato. Andare oltre l'Italietta significava per Pasolini conoscere altri mondi: "il mondo contadino, il mondo del sottoproletariato, il mondo operaio". E concludeva così la sua lettera a Calvino dalle pagine di "Paese sera": "L'universo contadino [...] è un universo transnazionale[...]. Gli uomini di quest'universo[...] vivevano quella che Chilanti ha chiamato l'età del pane. Erano cioè consumatori di beni estremamente necessari. Ed era questo, forse, che rendeva estremamente necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita".
Più chiaro di così...
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