Youth - La giovinezza
La giovinezza è quella perduta di due amici, due maestri nei
rispettivi campi: la musica per Fred Ballinger (Michael Caine) e il cinema per
Mick Boyle (Harvey Keitel). Giovinezza destinata a perdersi come la memoria: di
ciò che è accaduto in passato, ma anche nel senso del terrore di non lasciare
traccia di sé a futura memoria. Nonostante la fama e il pubblico riconoscimento
di valore.
Ma è anche la giovinezza dei loro figli: Lena Ballinger (splendida
Rachel Weisz) e Julian Boyle (Ed Stoppard). E padri e figli hanno senz'altro
memoria diversa, dovuta a diversa percezione, a diverse soggettive, degli eventi accaduti in passato in famiglia.
E il confronto fra la giovinezza perduta dei due uomini
famosi e la giovinezza che li circonda, spesso ostentata dai giovani che li
affiancano (figli, collaboratori, estimatori) è una delle tracce di questo film
di Sorrentino. Un confronto che è rispecchiamento, a tratti, ma anche visione
difforme delle cose, dei valori, delle emozioni.
La giovinezza, spiega Mick a un certo punto a una delle sue
giovani collaboratrici, è il cannocchiale che rende tutto vicino, il futuro a
portata di mano; la vecchiaia è il cannocchiale rovesciato, tutto appare
lontano, come trascorso, anche le
cose e le persone più vicine.
E Sorrentino sta nel
mezzo del cammin di nostra vita coi
suoi 45 anni, e guarda giovinezza e vecchiaia da una posizione equidistante.
Forse per questo trova il tono giusto per dire certe cose.
L'impressione di superficiale narcisismo snob dei due protagonisti
lascia presto il posto a una sensazione diversa: la vitalità di Mick si rovescia
in disperazione, l'apatia di Fred in profonda umanità, in romantica capacità di
amare.
Lo dico subito, a me il film è piaciuto moltissimo.
Più de La grande bellezza, perché nel solco della ricerca estetica di Sorrentino, supportato nella sua visionarietà dalla fotografia di Luca Bigazzi (che allarga la percezione visiva pur rimanendo di una precisione e di una pulizia ammalianti, e che completa una trilogia visiva che è sì immagine costruita, ma anche studio del paesaggio e della sua bellezza: This must be the place, La grande bellezza e, appunto, Youth - La giovinezza), il regista qui evita il grottesco, si concentra sulla riflessione a tratti filosofico-esistenziale, con un tocco più leggero e senz'altro più ironico.
Più de La grande bellezza, perché nel solco della ricerca estetica di Sorrentino, supportato nella sua visionarietà dalla fotografia di Luca Bigazzi (che allarga la percezione visiva pur rimanendo di una precisione e di una pulizia ammalianti, e che completa una trilogia visiva che è sì immagine costruita, ma anche studio del paesaggio e della sua bellezza: This must be the place, La grande bellezza e, appunto, Youth - La giovinezza), il regista qui evita il grottesco, si concentra sulla riflessione a tratti filosofico-esistenziale, con un tocco più leggero e senz'altro più ironico.
Approfondisce l'analisi dei personaggi, che assumono uno
spessore più significativo attraverso i dialoghi (a tratti spassosi quelli fra Fred
e Mick), e riesce con pochi tocchi a delineare anche una miriade di personaggi
di contorno (io ho molto amato la massaggiatrice che preferisce dialogare con
le mani invece che con le parole). L'unica caduta verso il grottesco è
probabilmente il Diego Maradona obeso interpretato da Rolly Serrano (anche se
il palleggio con la pallina da tennis sul piede sinistro è divertente).
La storia quasi non c'è, il film descrive una settimana in
una beauty farm nascosta nelle montagne svizzere, un microcosmo altoborghese
con personaggi che lasciano comunque un senso di esistere, una traccia di
positività e di verità. Come La grande
bellezza rivelava senza troppa fatica lo squallore della borghesia romana,
proponendola come una grottesca mascherata di ipocrisia e di crudeltà: "The
show must go on", così Youth - La
giovinezza rivela la verità delle vite quotidiane, con ironica amarezza.
E poi, oltre alla fotografia che allarga la percezione di Bigazzi,
ci sono alcune sequenze visionarie, sia che si tratti di incubi o di sogni, sia
che si tratti di inquadrature anomale (bellissime quelle che giocano coi corpi
veri e non levigati degli ospiti in piscina con la MDP a fior d'acqua); densa
di eros la discesa in vasca di Madalina Diana Ghenea (miss Universo nel
racconto), omaggiata nella locandina del film che espone il suo splendido corpo
(questo sì levigato e selvaggiamente giovane). In realtà si tratta dell'unica
scena di nudo, pochi minuti in due ore di film. Un'apparizione come un fantasma
della giovinezza, una bellezza ostentata e provocatrice che risveglia i sensi
dei due vecchi amici.
Stupendo il concerto di suoni e voci bucoliche naturali diretto
da Fred in un solitario pascolo alpino.
Un film pieno di idee, troppo pieno secondo qualcuno; ma
questa è l'estetica di Sorrentino, che nell'uso ridondante del linguaggio
filmico riesce comunque a dare un
senso al cinema, utilizzandolo come visione rivelatrice e raccontando personaggi che stavolta
si fanno amare, perché molto più umani e veri di quelli del film premio Oscar;
per certi versi essi somigliano a quello di Sean Penn in This must be the place. E, come lì, anche in Youth, la
relazione padre/figli è centrale. Mick e Fred scoprono quanto sia difficile essere
padri senza più il supporto delle madri dei loro figli.
E anche Lena scopre, con lo spettatore, lati nascosti della personalità del padre, si lascia sorprendere e trasportare teneramente verso di lui.
Fra inquadrature perfette, sequenze visionarie e colpi di scena (almeno tre solo nel finale...), senz'altro quello di Sorrentino non è un cinema banale. L'ironia amara che attraversa il film dà un tocco di leggerezza al tono del racconto che riequilibra almeno parzialmente la ridondanza e l'accumulo di segni filmici (immagini forti, musica, miriade di personaggi).
E anche Lena scopre, con lo spettatore, lati nascosti della personalità del padre, si lascia sorprendere e trasportare teneramente verso di lui.
Fra inquadrature perfette, sequenze visionarie e colpi di scena (almeno tre solo nel finale...), senz'altro quello di Sorrentino non è un cinema banale. L'ironia amara che attraversa il film dà un tocco di leggerezza al tono del racconto che riequilibra almeno parzialmente la ridondanza e l'accumulo di segni filmici (immagini forti, musica, miriade di personaggi).
Una delle tante riflessioni è sull'importanza delle
emozioni: non contano nulla, come sostiene Fred o sono tutto ciò che abbiamo,
come sostiene Mick? L'evoluzione e la piega che prendono gli eventi contengono,
forse, una risposta. Ma il film non pretende di dare risposte, apre soprattutto
a delle domande. E le lascia lì, in attesa che la risposta maturi.
In uno dei rovesciamenti di senso, si comprende nel finale
come la vita riservi sempre sorprese se si riesce a guardarla con gli occhi della
giovinezza o, meglio, dell'infanzia che si
lascia sorprendere e stupire.
Un film che ti resta negli occhi e nella testa.
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