La schiuma della memoria

Qui si parla innanzitutto di un romanzo, uscito nel novembre del 2010 presso le edizioni Montag di Tolentino.
Il titolo è La schiuma della memoria e l'ho scritto io.
Poi si parla e si scrive di altre cose, di fotografie e di film, di libri letti e di teatro, di teatroterapia e di paesaggio. E di altro ancora. L'intenzione è comunque quella di raccordare la memoria con l'attualità per ritrovare il senso perduto degli eventi e per non dimenticare personaggi che con le loro vite hanno scritto pagine di storia non solo privata, ma anche collettiva. Molti di essi sono i miei riferimenti culturali e di valore. Il romanzo stesso dialoga con questi contenuti, in modo dinamico, in costante evoluzione, perché la memoria non è cristallizzazione ma è senso e significato. Mi piacerebbe che la lettura del blog desse anche il piacere della scoperta e di un punto di vista sul mondo spostato dalla norma, in qualche modo sorprendente. Buona lettura.

mercoledì 27 maggio 2015

Youth - La giovinezza (ovvero Delle cose perdute)

Youth - La giovinezza

La giovinezza è quella perduta di due amici, due maestri nei rispettivi campi: la musica per Fred Ballinger (Michael Caine) e il cinema per Mick Boyle (Harvey Keitel). Giovinezza destinata a perdersi come la memoria: di ciò che è accaduto in passato, ma anche nel senso del terrore di non lasciare traccia di sé a futura memoria. Nonostante la fama e il pubblico riconoscimento di valore.
Ma è anche la giovinezza dei loro figli: Lena Ballinger (splendida Rachel Weisz) e Julian Boyle (Ed Stoppard). E padri e figli hanno senz'altro memoria diversa, dovuta a diversa percezione, a diverse soggettive, degli eventi accaduti in passato in famiglia.
E il confronto fra la giovinezza perduta dei due uomini famosi e la giovinezza che li circonda, spesso ostentata dai giovani che li affiancano (figli, collaboratori, estimatori) è una delle tracce di questo film di Sorrentino. Un confronto che è rispecchiamento, a tratti, ma anche visione difforme delle cose, dei valori, delle emozioni.
La giovinezza, spiega Mick a un certo punto a una delle sue giovani collaboratrici, è il cannocchiale che rende tutto vicino, il futuro a portata di mano; la vecchiaia è il cannocchiale rovesciato, tutto appare lontano, come trascorso, anche le cose e le persone più vicine.
E Sorrentino sta nel mezzo del cammin di nostra vita coi suoi 45 anni, e guarda giovinezza e vecchiaia da una posizione equidistante. Forse per questo trova il tono giusto per dire certe cose.
L'impressione di superficiale narcisismo snob dei due protagonisti lascia presto il posto a una sensazione diversa: la vitalità di Mick si rovescia in disperazione, l'apatia di Fred in profonda umanità, in romantica capacità di amare.
Lo dico subito, a me il film è piaciuto moltissimo.
Più de La grande bellezza, perché nel solco della ricerca estetica di Sorrentino, supportato nella sua visionarietà dalla fotografia di Luca Bigazzi (che allarga la percezione visiva pur rimanendo di una precisione e di una pulizia ammalianti, e che completa una trilogia visiva che è sì immagine costruita, ma anche studio del paesaggio e della sua bellezza: This must be the place, La grande bellezza e, appunto, Youth - La giovinezza), il regista qui evita il grottesco, si concentra sulla riflessione a tratti filosofico-esistenziale, con un tocco più leggero e senz'altro più ironico.
Approfondisce l'analisi dei personaggi, che assumono uno spessore più significativo attraverso i dialoghi (a tratti spassosi quelli fra Fred e Mick), e riesce con pochi tocchi a delineare anche una miriade di personaggi di contorno (io ho molto amato la massaggiatrice che preferisce dialogare con le mani invece che con le parole). L'unica caduta verso il grottesco è probabilmente il Diego Maradona obeso interpretato da Rolly Serrano (anche se il palleggio con la pallina da tennis sul piede sinistro è divertente).
La storia quasi non c'è, il film descrive una settimana in una beauty farm nascosta nelle montagne svizzere, un microcosmo altoborghese con personaggi che lasciano comunque un senso di esistere, una traccia di positività e di verità. Come La grande bellezza rivelava senza troppa fatica lo squallore della borghesia romana, proponendola come una grottesca mascherata di ipocrisia e di crudeltà: "The show must go on", così Youth - La giovinezza rivela la verità delle vite quotidiane, con ironica amarezza.
E poi, oltre alla fotografia che allarga la percezione di Bigazzi, ci sono alcune sequenze visionarie, sia che si tratti di incubi o di sogni, sia che si tratti di inquadrature anomale (bellissime quelle che giocano coi corpi veri e non levigati degli ospiti in piscina con la MDP a fior d'acqua); densa di eros la discesa in vasca di Madalina Diana Ghenea (miss Universo nel racconto), omaggiata nella locandina del film che espone il suo splendido corpo (questo sì levigato e selvaggiamente giovane). In realtà si tratta dell'unica scena di nudo, pochi minuti in due ore di film. Un'apparizione come un fantasma della giovinezza, una bellezza ostentata e provocatrice che risveglia i sensi dei due vecchi amici.
Stupendo il concerto di suoni e voci bucoliche naturali diretto da Fred in un solitario pascolo alpino.
Un film pieno di idee, troppo pieno secondo qualcuno; ma questa è l'estetica di Sorrentino, che nell'uso ridondante del linguaggio filmico  riesce comunque a dare un senso al cinema, utilizzandolo come visione rivelatrice  e raccontando personaggi che stavolta si fanno amare, perché molto più umani e veri di quelli del film premio Oscar; per certi versi essi somigliano a quello di Sean Penn in This must be the place. E, come lì,  anche in Youth, la relazione padre/figli è centrale. Mick e Fred scoprono quanto sia difficile essere padri senza più il supporto delle madri dei loro figli.
E anche Lena scopre, con lo spettatore, lati nascosti della personalità del padre, si lascia sorprendere e trasportare teneramente verso di lui.
Fra inquadrature perfette, sequenze visionarie e colpi di scena (almeno tre solo nel finale...), senz'altro quello di Sorrentino non è un cinema banale. L'ironia amara che attraversa il film dà un tocco di leggerezza al tono del racconto che riequilibra almeno parzialmente la ridondanza e l'accumulo di segni filmici (immagini forti, musica, miriade di personaggi).
Una delle tante riflessioni è sull'importanza delle emozioni: non contano nulla, come sostiene Fred o sono tutto ciò che abbiamo, come sostiene Mick? L'evoluzione e la piega che prendono gli eventi contengono, forse, una risposta. Ma il film non pretende di dare risposte, apre soprattutto a delle domande. E le lascia lì, in attesa che la risposta maturi.
In uno dei rovesciamenti di senso, si comprende nel finale come la vita riservi sempre sorprese se si riesce a guardarla con gli occhi della giovinezza o, meglio, dell'infanzia che si lascia sorprendere e stupire.

Un film che ti resta negli occhi e nella testa.

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