A distanza di una decina di giorni provo a fare una cosa che
continuo a trovare difficile, ma che credo valga la pena di fare.
Il 14 luglio scorso è morto all'improvviso mio babbo, Emilio, per
un'emorragia connessa a un tumore maligno al polmone, diagnosticato da poco
tempo, ma in stadio già molto avanzato.
Il 16 luglio si è svolta una breve cerimonia informale, al
Tempio della cremazione di Valera, nella Sala del commiato.
In quell'occasione, mia madre e mio fratello mi hanno chiesto
di pronunciare un ricordo e un saluto a mio babbo.
Non avevo scritto nulla per l'occasione, mi sono basato su
alcuni appunti e ho parlato "a braccio". Provo ora a ricostruire
quanto detto nell'occasione.
"E che do spali, Mattia, Che due spalle, diceva mio
padre, spesso, guardandomi.
Spero che le mie spalle oggi siano abbastanza grandi per
riuscire a portar a termine questo ricordo e questo saluto a mio padre.
Mio babbo era conosciuto come un brillante compagnone, un
baracchiere, che amava condividere le baraccate con gli ospiti di ogni età che
di volta in volta erano presenti in casa. In molti dei messaggi e delle mail
ricevute nei giorni scorsi, i mie amici dei tempi del liceo e degli anni
immediatamente successivi lo ricordavano senz'altro così e probabilmente anche
molti dei suoi amici condividerebbero questa immagine.
Molti dei suoi amici, in realtà, lo hanno preceduto in
questo difficile passaggio e in occasione dei funerali dei suoi amici lui
partecipava, non entrando in chiesa perché non era credente. A questo proposito
voglio ricordare che questo saluto e la cremazione sono una sua precisa
volontà, non avrebbe avuto senso una cerimonia religiosa. Io, mia madre e mio
fratello siamo stati concordi nello stabilire questa modalità di estremo
saluto.
Mio babbo si chiamava Emilio, mi viene in mente, aveva lo
stesso nome di questa terra che abitiamo, ed è un corrispondenza piena di
significato, perché lui era un emiliano verace, di quelli di un tempo,
accogliente, capace di fare festa e di condividere, cosa che viene riconosciuta
come una caratteristica dell'Emilia.
Era un uomo semplice, non portato a lunghe discussioni
teoriche: aveva idee chiare, delle quali era convinto; per lui le cose erano
così e basta, non c'era bisogno di lunghe discussioni o riflessioni per
dimostrarlo, erano evidenti in sé.
Era di poche parole soprattutto riguardo alle sue emozioni e
ai suoi sentimenti; ho ricordato prima la sua partecipazione alle esequie degli
amici che lo hanno preceduto: ecco, in quelle occasioni non diceva nulla, ma
bastava guardarlo per capire che cosa attraversasse il suo cuore.
Era comunque sempre cordiale e complimentoso e affettuoso.
Come figlio lo ringrazio per i valori che mi ha saputo
trasmettere: innanzitutto l'antifascismo; poi l'anticonformismo, che incarnava
con alcuni suoi comportamenti, facendo quello che si sentiva, senza curarsi di
essere rispettoso o meno delle convenzioni; mi ha anche insegnato, sempre coi
comportamenti, un profondo senso di responsabilità, e soprattutto l'onestà,
valore per lui primario, forse l'unico attraverso il quale fosse lecito
giudicare i comportamenti e gli esseri umani. Inoltre mi ha insegnato e
trasmesso quel senso di solidarietà che per lui era comunque un tutt'uno con
l'accoglienza delle persone, con la condivisione.
Come figli, io e mio fratello possiamo ringraziarlo perché
ci ha permesso di seguire le nostre aspirazioni, di fare le nostre scelte. Andava fiero di essere riuscito a
permettere economicamente che entrambi i figli si fossero laureati, lui
impiegato di banca.
E' in queste occasioni che quel senso di responsabilità, al
quale ho accennato prima, si manifestava: ci ha insegnato in tal modo a fare
piccoli passi, a cominciare dalle cose più importanti, evitando il superfluo.
E' sempre stato generoso e disponibile coi nipoti, che amava
tantissimo, ricambiato.
Le storie dell'infanzia, della sua infanzia trascorsa
durante la seconda guerra mondiale
(mio babbo era del 1935), sono un patrimonio che ha consegnato loro attraverso
i suoi racconti, che io sollecitavo spesso. I nipoti, i miei figli e i figli di
mio fratello, lo guardavano a bocca aperta, con occhi attenti e stupiti. Erano
storie che venivano da un altro mondo, avventure incredibili per un bambino di
oggi o degli anni '90 del secolo scorso. Ricordo che i bambini di allora
giocavano con le armi abbandonate da partigiani, americani e fascisti,a
Langhirano. Ricordo per esempio quando imbracciò un mitra e sparò, non sapendo
che era ancora carico: la sventagliata lo fece cadere per terra per la
violenza, i colpi partirono in tutte le direzioni e solo per fortuna non colpì
nessuno. Oppure quando lui e i suoi amici fecero saltare una socca di quercia con la dinamite; oppure
quando imparò a nuotare: un amico più grande gli aveva spento una sigaretta sul
petto nudo mentre erano su un ponte, lui per il dolore cadde nel fiume e non
sapeva ancora nuotare; ebbene, invece di affogare, imparò a nuotare.
Avventure inconcepibili per i bambini di oggi, dicevo; ma
per lui furono esperienze di vita, come la miseria, vissuta in grande libertà e
raccontata con grande leggerezza.
Infine,
un'ultima considerazione non può che essere rivolta a mia madre, sua compagna
di vita da oltre 50 anni. La presenza di mio padre nella sua vita era
significativa e importante, le saremo vicini nella nuova situazione di
solitudine che si trova a dover affrontare.
Nei racconti di mio padre c'era anche la loro storia:
entrambi appartengono a una generazione che aveva una grande voglia di riscatto
dalla miseria, una gran voglia di vivere. Insieme hanno conosciuto i balli
degli anni '50 ed entrambi ricordavano con orgoglio e gioia i loro scatenati
rock and roll, i cha cha, i balli del mattone.
Probabilmente non c'è mai un momento giusto per morire, ma
in questo caso direi che mio babbo è come se avesse scelto di andarsene
all'improvviso, al momento giusto evitando un calvario di sofferenza.
Domenica scorsa, due giorni fa, insieme a mio figlio
Giacomo, l'ho visto vivo nelle ore che precedevano la morte. Io e Giacomo
avevamo pranzato da loro. Avevo visto per la prima volta un uomo veramente
provato dalla malattia, stremato. Lui, che aveva un appetito eccezionale, aveva
mangiato pochissimo. Mi guardava con occhi che imploravano aiuto e pieni di
paura. Se n'è andato prima di cominciare a soffrire davvero, affrontando la
malattia con coraggio e dignità.
In questa occasione, io che da molti anni mi sentivo solo
padre e non più figlio, che sono sempre stato molto autonomo e indipendente,
grazie anche all'insegnamento di libertà ricevuto, torno a sentirmi per una
volta figlio".
Poi ho baciato la bara di abete bianco e ho detto Ciao
babbo.
Poi ho detto che chi voleva poteva prendere un fiore della
corona come ricordo. Io mi sono tenuto una delle rose bianche.
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