La schiuma della memoria

Qui si parla innanzitutto di un romanzo, uscito nel novembre del 2010 presso le edizioni Montag di Tolentino.
Il titolo è La schiuma della memoria e l'ho scritto io.
Poi si parla e si scrive di altre cose, di fotografie e di film, di libri letti e di teatro, di teatroterapia e di paesaggio. E di altro ancora. L'intenzione è comunque quella di raccordare la memoria con l'attualità per ritrovare il senso perduto degli eventi e per non dimenticare personaggi che con le loro vite hanno scritto pagine di storia non solo privata, ma anche collettiva. Molti di essi sono i miei riferimenti culturali e di valore. Il romanzo stesso dialoga con questi contenuti, in modo dinamico, in costante evoluzione, perché la memoria non è cristallizzazione ma è senso e significato. Mi piacerebbe che la lettura del blog desse anche il piacere della scoperta e di un punto di vista sul mondo spostato dalla norma, in qualche modo sorprendente. Buona lettura.

domenica 8 gennaio 2012

2011: è la volta dei film

Entrati da pochi giorni nel nuovo anno, si ha voglia ancora di fare un bilancio di quello conclusosi da non molto.
Il tornare al cinema mi ha fatto pensare alla panoramica dei film visti nel 2011.
Non tanti, quindici.
Quindi li metto in classifica tutti, perché sicuramente ci sarano molte omissioni, nel senso di film da me non visti, quindi ingiudicabili.
Quindicesimo: Il gioiellino, di Andrea Molaioli, con Toni Servillo, Remo Girone, Sarah Felberbaum.
Il film racconta in tutta evidenza del caso Parmalat, senza mai fare i nomi reali dei protagonisti, che risultano però piuttosto riconoscibili. Per me segno di scarso coraggio da parte della produzione, secondo il regista la scelta è invece legata al fatto che di casi simili a quello della Parmalat ce ne sono e ce ne possono essere tanti, quindi il film presenta un  certo modello di azienda familiare e la sua evoluzione legata agli intrecci fra economia, politica e, in essi, il ruolo delle banche. Può darsi, ma non mi convince, perché la critica indiretta avrebbe potuto essere ben più corrosiva. Il film non è indimenticabile e non è al livello del precedente La ragazza del lago.
Quattordicesimo: No impact man, di Laura Gabbert, Justin Schein con Colin Beavan, Michelle Conlin. Salvare il mondo, a cominciare dalla propria famiglia. Il film è un documentario che racconta un esperimento di vita a impatto zero a New York, mettendo in luce gli sprechi della quotidianità, ma anche la contradditorietà e l'insensatezza di certe scelte integraliste (il chilometro zero impossibile nellametropoli, l'inutilità di privarsi della corrente elettrica e così via). Interessante, un ottimo stimolo alla riflessione sui modelli di consumo e sulle possibili variazioni.
TredicesimoLadri di cadaveri, di John Landis, con  Simon Pegg, Andy Serkis, Jessica Hynes, Tom Wilkinson. Il film narra una reale vicenda accaduta nella Scozia del primo Ottocento. Commedia grottesca, con qualche idea geniale (d'altra parte dietro alla cinepresa c'è Landis), divertente e brillante, gustoso, ma Landis può fare molto di più.
Dodicesimo: Drive di Nicholas Winding Refn, con Con Ryan Gosling, Carey Mulligan, Bryan Cranston. 
Film che ha un certo fascino, per la virata violentissima del secondo tempo, che ti piomba addosso come in un agguato. Uso un po' estetizzante e non sempre azzeccato del ralenti, che dilata il tempo senza occuparsi dello spazio in cui si svolge la scena.
Undicesimo: Cose dell'altro mondo, di Francesco Patierno, con Diego Abatantuono, Valentina Lodovini, Valerio Mastandrea. Commedia divertente, surreale, ma capace di scavare nella realtà, che parte da un'idea semplice e geniale: che cosa succederebbe in una cittadina del Veneto nella quale la cultura è impregnata di un razzismo di fondo, se un bel giorno gli abitanti si svegliassero e fossero improvvisamente, di colpo spariti tutti gli immigrati, come molti auspicano?
Notevole la prova d'attore di Abatantuono, imprenditore telepredicatore (contro i "nigher"), e sorprendente la prova di Mastandrea, alle prese con l'interpretazione di un poliziotto cinico ma generosamente umano.
Decimo: L'esplosivo piano di Bazil, di Jean Pierre Jeunet, con con Dany Boon, André Dussollier, Nicolas Marié, Jean-Pierre Marielle. Bazil, orfano di padre in giovane età a causa di una mina antiuomo e disoccupato a causa di un proiettile accidentalmente intercettato , scopre che i produttori dei due congegni hanno sede ai lati opposti di una stessa strada. Convinto di farla pagare ad entrambe le imprese, escogiterà un intricato piano per metterle una contro l'altra ed infine smascherarne le disonestà. Aiutato da una bizzarra congrega di senzatetto e freak, riuscirà nel suo intento. Commedia satirica, pieno di idee e divertente, soprattutto il gruppo di freak che vive sottoterra.
Nono: Il villaggio di cartone, di Ermanno Olmi, con Rutger Hauer, Alessandro Haber, Massimo De Francovich, El Hadji Ibrahima Faye. Film duro, che segna il ritorno di Olmi alla fiction, dopo una precedente dichiarazione di abbandono. L'idea è venuta a Olmi, che a ottant'anni ha ancora entusiasmo ed energia da vendere, mentre era costreto a letto da una frattura. Il film è un pamphlet, girato in modo asciutto e rigoroso (marchio di stile Olmi) nato da una necessità, quella di dire qualcosa sui diritti dei migranti e sul rispetto e la dignità dell'essere umano in generale. 
Intento riuscito.
Ottavo: Habemus papam, di Nanni Moretti, con  Michel Piccoli e Nanni Moretti. Ho già recensito il film sul blog (vedi etichetta Cinema), ora è collocato in classifica.
Settimo: Carnage, di Roman Polanski, con Jodi Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly. Personaggi odiosi, dialoghi fulminanti, crescendo inatteso di conflitto al veleno all'interno di un appartamento, fra due coppie di genitori che discutono su un episodio di aggressione da pare del figlio di una coppia al figlio dell'altra. Poi la litigata mette in luce anche le frizioni e le forti difficoltà esistenti in entrambe le coppie fra i coniugi. Maestria nella conduzione degli attori e nella scrittura dei dialoghi, tratti da un lavoro teatrale. Di questo risente un po', a mio avviso, il film. Gli adulti sono ben peggio dei bambini, sembra dirci Polanski. Senz'altro. 
Sesto: Midnight in Paris, di Woody Allen, con Marion Cotillard, Owen Wilson, Rachel McAdams, Michael Sheen. Film elegante e raffinato, commedia surreale brillante. Allen rovescia l'idea del suo La rosa purpurea del Cairo, in cui i personaggi della pellicola entravano nella vita reale, catapultando il protagonista della vicenda parigina in un viaggio nel tempo, nella Parigi dei suoi desideri.
Un'ottima scusa per riempire il film di scrittori e artisti amati dallo stesso Allen. Un bel giocattolo filmico, anche se ho preferito l'Allen acido e corrosivo.
Quinto: La donna che canta, di Denis Villeneuve, con Lubna Azabal, Mélissa Désormeaux-Poulin, Maxim Gaudette, Remy Girard. Ho già recensito il film (vedi etichetta Cinema) e qui lo colloco in classifica, ai piani alti, perché è uno dei film che non dimenticherò per la durezza e per il viaggio nel dolore che esso comporta.
Quarto: Pina di Wim Wenders, con Pina Bausch, Regina Advento, Malou Airaudo, Ruth Amarante. Film dalla storia particolare, perché mentre Wenders lo stava girando la grandissima coreografa e regista, che ha inventato un nuovo modo di fare danza e di fare teatro, è morta, all'età di 69 anni. Era il 30 giugno del 2009. Wenders, sostenuto dai danzatori e attori di scuola Bausch, ha deciso di proseguire il film e di ultimarlo. Nato come documentario che voleva raccontare il lavoro e le scelte artistiche della Bausch, è divenuto, pur mantenendo saldo il timone sull'intento originario, un film testamento, un omaggio a una della più grandi artiste del secolo scorso, che influenzerà anche questo secolo, per la capacità innovativa e la limpida storia di vita e di artista.
Girato da Wenders per il 3D, è godibilissimo anche a due dimensioni. Un atto d'amore, e un gran bel film.
Terzo: molti probabilmente non saranno d'accordo su questa scelta, ma a me This must be the place di Paolo Sorrentino è piaciuto tanto. Con Sean Penn (nei panni di una ex rock star dal volto simile a una maschera-icona, costruito sulle fattezze di Smith dei Cure) e Frances Mc Dormand, la moglie che è un vigile del fuoco. Il film, dopo un inizio da commedia americana sul quotidiano, si trasforma in un road movie perché il protagonista parte alla ricerca di un criminale nazista rifugiatosi negli States, in una sorta di omaggio alla figura del padre col quale il nostro non aveva mai avuto un buon rapporto. Fotografia splendida, atmosfera avvolgente, il film mette a confronto due follie, quella brutale del nazismo, con quella quotidiana e mortale del rifiuto di invecchiare e di cambiare.
Alla fine del viaggio di formazione, il protagonista non potrà più essere lo stesso.
Secondo: Melancholia, di Lars von Trier, con Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, Charlotte Rampling. Film in due tempi scanditi da episodi fra loro separati, salvo la circolarità data alla narrazione dal prologo che viene ripreso poi nel finale. Il primo racconta di un matrimonio grottesco, sembra un Dogma dei tempi duri, una tragicommedia alla Festen (che non era di von Trier) per le atmosfere e l'escalation della rottura nelle relazioni.
Il secondo vira sul surreale, più che sul fantascientifico come alcuni sostengono, e corrisponde a una sorta di poema tragico sulla fine del mondo, sulle note del Trsitano e Isotta Wagneriano del prologo. Pessimismo totale, da pugno nelle stomaco scagliato da Hulk. E chi non ha buoni addominali soccombe. Apocalittico, perché è impossibile mettere ordine, sia nelle relazioni, sia nel cosmo. Ecco il filo che lega i due episodi così apparentemente diversi fra loro.
Primo: il film che mi è piaciuto di più è stato però Miracolo a Le Havre di Aki Kaurismaki, con André Wilms, Kati Outinen, Jean Pierre Darroussin, Blondine Miguel. E un'apparizione di Jean Pierre Leaud, in un prezioso cameo indimenticabile (e odioso). Film dolce, struggente e divertente, con personaggi belli e autentici, girato da Kaurismaki con mano leggera e tagliente; presenti i suoi stilemi: l'oggettistica e l'rredo sxties/seventies, a dispetto dell'ambientazione nella contemporaneità, le riflessioni stralunate e le espressioni sempre dolenti, anche quando sorridono, dei protagonisti, un senso di povertà e di poesia della miseria e degli umili, secondo la nobile lezione di Pasolini. Il finlandese gira uno dei suoi film migliori, un capolavoro delizioso. Il miracolo a Le Havre è doppio, ma non vi racconto nulla. Andatelo a vedere, è davvero imperdibile, abbiate fiducia. Se è già in fuga dalle sale, appostatevi per l'uscita del dvd, non resterete delusi.

Buon anno cinefilo.

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