La schiuma della memoria

Qui si parla innanzitutto di un romanzo, uscito nel novembre del 2010 presso le edizioni Montag di Tolentino.
Il titolo è La schiuma della memoria e l'ho scritto io.
Poi si parla e si scrive di altre cose, di fotografie e di film, di libri letti e di teatro, di teatroterapia e di paesaggio. E di altro ancora. L'intenzione è comunque quella di raccordare la memoria con l'attualità per ritrovare il senso perduto degli eventi e per non dimenticare personaggi che con le loro vite hanno scritto pagine di storia non solo privata, ma anche collettiva. Molti di essi sono i miei riferimenti culturali e di valore. Il romanzo stesso dialoga con questi contenuti, in modo dinamico, in costante evoluzione, perché la memoria non è cristallizzazione ma è senso e significato. Mi piacerebbe che la lettura del blog desse anche il piacere della scoperta e di un punto di vista sul mondo spostato dalla norma, in qualche modo sorprendente. Buona lettura.

mercoledì 9 marzo 2011

Albero senza ombra

L'albero senza ombra è il castagno della Bolivia, alias il noce del Brasile. Sì, pare siano la stessa cosa, l'ha detto Cesar Brie sabato sera, al Teatro al Parco. Albero senza ombra è uno spettacolo teatrale scritto, diretto, realizzato e interpretato da Cesar Brie, prodotto da Fondazione Pontedera Teatro. Forse potremmo definire lo spettacolo un esempio di teatro reportage: Brie ripercorre, in modo documentato e basato sulla sua testimonianza e sulle testimonianze dei protagonisti, un evento recente della cronaca boliviana. Un altro maledetto undici settembre. Quello del 2008, in cui nel Pando, regione della giungla boliviana, si è consumato un massacro di contadini. 11 morti e centinaia di feriti, decine di persone scomparse, probabilmente nel fiume, sotto il fuoco di squadristi contrari alla riforma agraria di Morales (la terra a chi la coltiva). Campesinos, che a Brie richiamano i contadini di Pasolini, in La terra di lavoro, ne Le ceneri di Gramsci.

"eccoli con il mento sul petto,/con le spalle contro lo schienale,/con la bocca sopra un pezzetto/di pane unto, masticando male,/miseri e scuri come cani/su un boccone rubato: e gli sale/se ne guardi gli occhi, le mani,/sugli zigomi un pietoso rossore,/in cui nemica gli si scopre l'anima. [...] Tu ti perdi nel paradiso interiore,/e anche la tua pietà gli è nemica."

I versi li cita Brie, nel foglio di sala. Il senso è non tanto quello di fare controinformazione, ma piuttosto quello di recuperare l'amarezza dell'abbandono dei contadini a se stessi, come nei versi di Pasolini (ricordo che Pasolini parlò di genocidio culturale dell'Italia contadina). E lanciare ungrido disperato: a chi può importare dei contadini boliviani qui in Occidente, in questa parte del mondo? La scelta di essere in scena da solo, di dare la parola ai morti e anche a qualche sopravvissuto è teatralmente resa molto bene, più che dalla recitazione di Brie (che ha un ottimo uso del corpo e un uso della voce che invece lascia a desiderare), dalla sua scenografia, semplicissima e poetica. Pochi oggetti che prendono vita e forme diverse durante la rappresentazione. Elementi simbolici naturali: ciotole metalliche piene di noci, un sacco di farina di mais colpito e aperto con un coltello mentre oscilla con un effetto molto efficace, una poltrona ai bordi della scena. Quando era all'interno del perimetro delineato dai suoi oggetti di scena, Brie era i vari personaggi, anche femminili, che raccontano, anche dal punto di vista degli aguzzini, l'episodio dell'11 settembre 2008; quando invece si sedeva sulla poltrona era il regista che rifletteva, che spiegava. Gli stracci bagnati che divengono prima bambini affogati nel fiume e poi un corpo sottoposto all'autopsia è stato uno dei momenti più commoventi ed esteticamente più alti  dello spettacolo. Brie cerca di penetrare nel dolore degli altri, in un mondo che in parte è o è stato suo. Ne restituisce la distanza, la difficoltà di un riscatto, nonostante la presidenza Morales, che senz'altro ha ridato fiducia e dignità a indios e campesinos. Brie ci ricorda comunque che quel mondo distante è il nostro recente passato e che è anche il rovescio della medaglia della nostra ricchezza. E lo fa con poesia, con intensità.

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