La schiuma della memoria

Qui si parla innanzitutto di un romanzo, uscito nel novembre del 2010 presso le edizioni Montag di Tolentino.
Il titolo è La schiuma della memoria e l'ho scritto io.
Poi si parla e si scrive di altre cose, di fotografie e di film, di libri letti e di teatro, di teatroterapia e di paesaggio. E di altro ancora. L'intenzione è comunque quella di raccordare la memoria con l'attualità per ritrovare il senso perduto degli eventi e per non dimenticare personaggi che con le loro vite hanno scritto pagine di storia non solo privata, ma anche collettiva. Molti di essi sono i miei riferimenti culturali e di valore. Il romanzo stesso dialoga con questi contenuti, in modo dinamico, in costante evoluzione, perché la memoria non è cristallizzazione ma è senso e significato. Mi piacerebbe che la lettura del blog desse anche il piacere della scoperta e di un punto di vista sul mondo spostato dalla norma, in qualche modo sorprendente. Buona lettura.

lunedì 1 aprile 2013

Enzo Jannacci

Il 29 marzo scorso è morto Enzo Jannacci. Era nato il 3 giugno del 1935. Il 3 gennaio 2003, ai funerali di Giorgio Gaber era riuscito a pronunciare solo una frase, aveva detto "Ho perso un fratello". E basta. L'avrà detto con quella sua maschera triste, con l'espressione resa da un dolore lancinante ancora più allucinata del solito. Con Gaber aveva praticamente iniziato la carriera musicale: nel 1958 insieme erano I Due Corsari e facevano rock and roll. Poi da solista si buttò nel jazz, collaborando con musicisti del calibro dei sassofonisti Stan Getz e Gerry Mulligan, del trombettista Chet Baker, del chitarrista Franco Cerri. Lui, Vincenzo detto Enzo, suonava le tastiere e il pianoforte e cantava, con quella sua voce particolare, capace di sussurrare e di urlare, con molto orecchio musicale e una cantilena fintamente stonata. Poi inizia a scrivere le sue canzoni, dal tono spesso comico-surreale.
Nel 1965 esce un suo disco interamente dal vivo, credo che sia il primo della musica leggera e d'autore italiana: Enzo Jannacci in teatro. E qui troviamo già alcuni dei suoi pezzi più volte riproposti, che raccontano storielle surreali e ironiche o drammatiche: Veronica, Prete Liutprando e il giudizio di Dio, Il primo furto non si scorda mai, Sfiorisci bel fiore, Aveva un taxi nero, L'Armando. Gli ultimi due sono quasi due piccoli noir, meravigliosamente cinici e ironici, scritti con Dario Fo (il primo anche con Fiorenzo Carpi).
Nel 1966 pubblica un concept album sulla Resistenza, Sei minuti all'alba. Ho il long playing, il vinile, intendo, originale, vabbé un piccolo vanto, perdonatemi. Un disco duro, di non facile ascolto. Isei minuti all'alba della canzone che dà il titolo al disco sono gli ultimi della vita di un partigiano che all'alba verrà fucilato. Un omaggio dedicato al padre partigiano.
Nel 1968 è il momento del successo, clamoroso, che arriva con Vengo anch'io, No tu no, album che prende il titolo dalla canzone omonima, una sorta di ironico "inno degli esclusi". E in questo album ci sono altre storielline, di quelle che solo lui sapeva inventare come canzoni, con personaggi stralunati, timidi, tutti un po' "esclusi" ma indimenticabili: La ballata del pittore, Giovanni telegrafista.
Il disco contiene anche Ho visto un re, scritta con Dario Fo, uno sberleffo al potere di vescovi, cardinali, re e ricchi. E i poveri? "E sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale, diventan tristi se noi piangiam".
La canzone venne poi censurata dalla RAI di un'Italia democristiana e bigotta, l'Italietta di pasoliniana memoria.
La censura fa un po' imbestialire il nostro Enzo, che decide di starsene un po' lontano dall'Italia, per quattro anni, fra Sudafrica e Usa. La scelta fu dettata anche dalla volontà di riprendere gli studi medici, abbandonati dopo la laurea, in particolare la cardiologia. E in Sudafrica operava un certo Christian Barnard, cardiologo di fama internazionale, ricercatore e sperimentatore di nuove tecniche di operazione a cuore aperto e precursore dei trapianti.
Nel frattempo pubblica comunque due dischi: La mia gente (1970) e Jannacci Enzo (1972). E qui troviamo altri brani "storici": Il dritto, Gli zingari, Mexico e nuvole, pieni di solitudine e di malinconia, nel primo; El purteva i scarp del tenis (la storia di un barbùn), Faceva il palo, Prendeva il treno, Ragazzo padre, nelle quali invece tornano a dominare l'ironia surreale e la narratività, nell'album del 1972.
Negli anni '70 c'è anche un po' di cinema nella carriera artistica di Jannacci. Lavora con Monicelli, nell'episodio Il frigorifero del film Le coppie e soprattutto con Marco Ferreri, per il quale è l'attore protagonista del film L'udienza, che racconta la vicenda, che sembra un po' una delle sue canzoni,
di un ufficiale in congedo che vuole a tutti i costi incontrare il papa. Serviva per quel ruolo la sua maschera malinconica e ironica. Nel film, morirà sotto i portici di San Pietro.
Continuerà poi a collaborare nel cinema scrivendo colonne sonore fino a tutti gli anni '80.
Scriveva e a volte curava anche la regia di spettacoli teatrali, come Il poeta e il contadino, del 1973, che poi divenne anche una trasmissione televisiva con Cochi e Renato, del suo gruppo di amici, e Saltimbanchi si muore, del 1979.
 Per e con Cochi e Renato scrisse molte canzoni, divertenti e demenziali come E la vita la vita (che divenne una sigla tv), La gallina, Silvano (divertissment scritto quasi esclusivamente con parole sdrucciole o antisdrucciole) e la geniale e rivoluzionaria Il bonzo.
Nel 1975 pubblica Quelli che..., uno dei suoi album migliori, uno dei miei preferiti (che contiene Il bonzo, Vincenzina e la fabbrica, Quelli che, Il monumento, Le 9 di sera e alcuni inserti parlati, cosa che diverrà poi una sana abitudine nei suoi dischi). Quelli che è un brano contro le banalità e il qualunquismo, dal contenuto molto politico, Vincenzina è un brano struggente sulle prime crisi industriali, del Bonzo ho già detto, Il monumento è un pezzo antimilitarista: una grande varietà di temi impegnati e una grande libertà compositiva e creativa.
Nel 1976 e nel 1977 seguono a ruota O vivere o ridere e Secondo te che gusto c'è. Questa triade è la serie di suoi dischi che Jannacci ama di più; ha chiesto di ripubblicarli pochi anni fa, perché li riteneva innovativi per il tempo in cui sono stati scritti e ancora capaci di dire qualcosa di originale. Non si può che essere d'accordo col nostro. Sono reperibili presso Ala Bianca.
Nel 1979 arriva Fotoricordo, con due brani scritti per lui da Paolo Conte, le bellissime Sudamerica e Bartali.
Nel 1980 un altro disco chiude quello che per me è il periodo d'oro di Jannacci: si tratta di Ci vuole orecchio, che curiosamente ho citato in questo blog nella recensione di Noi siamo infinito, poco tempo fa. Non c'entra niente, era solo un ricordo scatenato dal film, perché di quell'album ho ancora, perfettamente funzionante, il nastro, la "cassettina" musicale. Una serie di canzoni belle e divertenti, ma anche attraversate da una vena malinconica: Musical, Ci vuole orecchio, Quello che canta onliù, Silvano, e la struggente Si vede. Anche qui una grande libertà compositiva e una apprezzabile varietà musicale.
Nel 1981 muore un suo grande amico, Beppe Viola, fantasioso e geniale radiotelecronista e giornalista di calcio. Con Beppe Viola aveva scritto per esempio Rido, presente in O vivere o ridere.
Il dolore è tanto e la sua vena si blocca per un po'. Partecipa poi a Sanremo nel 1989 con Se me lo dicevi prima, nel 1991 con La fotografia, che vince il premio della critica, nel 1994 con I soliti accordi, insieme a Paolino Rossi, un pezzo dissacrante per il festival, e nel 1998 con Quando un musicista ride, che vince di nuovo il premio della critica.
Nel 2000 vince il premio Ciampi alla carriera e nel 2001 e 2003 partecipa al festival Tenco, vincendo entrambe le volte il premio per il miglior brano, rispettivamente con Lettera da lontano, dal cd Come gli aeroplani, e L'uomo a metà, tratta dal cd omonimo. Questi sono due dischi di ottimo livello, Enzo sembra aver ritrovato vena creativa e voglia di comporre, collaborando pienamente col figlio Paolo, talentuoso pianista.
E' impressionante pensare come forse i tre più grandi cantautori italiani, De André, Gaber e Jannacci, siano stati strappati dal mondo, portati via tutti  dalla stessa malattia, il cancro.
Ci mancherai, Enzo; senz'altro MI mancherai.

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