La schiuma della memoria

Qui si parla innanzitutto di un romanzo, uscito nel novembre del 2010 presso le edizioni Montag di Tolentino.
Il titolo è La schiuma della memoria e l'ho scritto io.
Poi si parla e si scrive di altre cose, di fotografie e di film, di libri letti e di teatro, di teatroterapia e di paesaggio. E di altro ancora. L'intenzione è comunque quella di raccordare la memoria con l'attualità per ritrovare il senso perduto degli eventi e per non dimenticare personaggi che con le loro vite hanno scritto pagine di storia non solo privata, ma anche collettiva. Molti di essi sono i miei riferimenti culturali e di valore. Il romanzo stesso dialoga con questi contenuti, in modo dinamico, in costante evoluzione, perché la memoria non è cristallizzazione ma è senso e significato. Mi piacerebbe che la lettura del blog desse anche il piacere della scoperta e di un punto di vista sul mondo spostato dalla norma, in qualche modo sorprendente. Buona lettura.

venerdì 26 luglio 2013

PER EMILIO (NEL NOME DEL PADRE)



A distanza di una decina di giorni provo a fare una cosa che continuo a trovare difficile, ma che credo valga la pena di fare.
Il 14 luglio scorso è morto all'improvviso mio babbo, Emilio, per un'emorragia connessa a un tumore maligno al polmone, diagnosticato da poco tempo, ma in stadio già molto avanzato.
Il 16 luglio si è svolta una breve cerimonia informale, al Tempio della cremazione di Valera, nella Sala del commiato.
In quell'occasione, mia madre e mio fratello mi hanno chiesto di pronunciare un ricordo e un saluto a mio babbo.
Non avevo scritto nulla per l'occasione, mi sono basato su alcuni appunti e ho parlato "a braccio". Provo ora a ricostruire quanto detto nell'occasione.
"E che do spali, Mattia, Che due spalle, diceva mio padre, spesso, guardandomi.
Spero che le mie spalle oggi siano abbastanza grandi per riuscire a portar a termine questo ricordo e questo saluto a mio padre.
Mio babbo era conosciuto come un brillante compagnone, un baracchiere, che amava condividere le baraccate con gli ospiti di ogni età che di volta in volta erano presenti in casa. In molti dei messaggi e delle mail ricevute nei giorni scorsi, i mie amici dei tempi del liceo e degli anni immediatamente successivi lo ricordavano senz'altro così e probabilmente anche molti dei suoi amici condividerebbero questa immagine.
Molti dei suoi amici, in realtà, lo hanno preceduto in questo difficile passaggio e in occasione dei funerali dei suoi amici lui partecipava, non entrando in chiesa perché non era credente. A questo proposito voglio ricordare che questo saluto e la cremazione sono una sua precisa volontà, non avrebbe avuto senso una cerimonia religiosa. Io, mia madre e mio fratello siamo stati concordi nello stabilire questa modalità di estremo saluto.
Mio babbo si chiamava Emilio, mi viene in mente, aveva lo stesso nome di questa terra che abitiamo, ed è un corrispondenza piena di significato, perché lui era un emiliano verace, di quelli di un tempo, accogliente, capace di fare festa e di condividere, cosa che viene riconosciuta come una caratteristica dell'Emilia.
Era un uomo semplice, non portato a lunghe discussioni teoriche: aveva idee chiare, delle quali era convinto; per lui le cose erano così e basta, non c'era bisogno di lunghe discussioni o riflessioni per dimostrarlo, erano evidenti in sé.
Era di poche parole soprattutto riguardo alle sue emozioni e ai suoi sentimenti; ho ricordato prima la sua partecipazione alle esequie degli amici che lo hanno preceduto: ecco, in quelle occasioni non diceva nulla, ma bastava guardarlo per capire che cosa attraversasse il suo cuore.
Era comunque sempre cordiale e complimentoso e affettuoso.
Come figlio lo ringrazio per i valori che mi ha saputo trasmettere: innanzitutto l'antifascismo; poi l'anticonformismo, che incarnava con alcuni suoi comportamenti, facendo quello che si sentiva, senza curarsi di essere rispettoso o meno delle convenzioni; mi ha anche insegnato, sempre coi comportamenti, un profondo senso di responsabilità, e soprattutto l'onestà, valore per lui primario, forse l'unico attraverso il quale fosse lecito giudicare i comportamenti e gli esseri umani. Inoltre mi ha insegnato e trasmesso quel senso di solidarietà che per lui era comunque un tutt'uno con l'accoglienza delle persone, con la condivisione.
Come figli, io e mio fratello possiamo ringraziarlo perché ci ha permesso di seguire le nostre aspirazioni, di fare le nostre scelte.  Andava fiero di essere riuscito a permettere economicamente che entrambi i figli si fossero laureati, lui impiegato di banca.
E' in queste occasioni che quel senso di responsabilità, al quale ho accennato prima, si manifestava: ci ha insegnato in tal modo a fare piccoli passi, a cominciare dalle cose più importanti, evitando il superfluo.
E' sempre stato generoso e disponibile coi nipoti, che amava tantissimo, ricambiato.
Le storie dell'infanzia, della sua infanzia trascorsa durante  la seconda guerra mondiale (mio babbo era del 1935), sono un patrimonio che ha consegnato loro attraverso i suoi racconti, che io sollecitavo spesso. I nipoti, i miei figli e i figli di mio fratello, lo guardavano a bocca aperta, con occhi attenti e stupiti. Erano storie che venivano da un altro mondo, avventure incredibili per un bambino di oggi o degli anni '90 del secolo scorso. Ricordo che i bambini di allora giocavano con le armi abbandonate da partigiani, americani e fascisti,a Langhirano. Ricordo per esempio quando imbracciò un mitra e sparò, non sapendo che era ancora carico: la sventagliata lo fece cadere per terra per la violenza, i colpi partirono in tutte le direzioni e solo per fortuna non colpì nessuno. Oppure quando lui e i suoi amici fecero saltare una socca di quercia con la dinamite; oppure quando imparò a nuotare: un amico più grande gli aveva spento una sigaretta sul petto nudo mentre erano su un ponte, lui per il dolore cadde nel fiume e non sapeva ancora nuotare; ebbene, invece di affogare, imparò a nuotare.
Avventure inconcepibili per i bambini di oggi, dicevo; ma per lui furono esperienze di vita, come la miseria, vissuta in grande libertà e raccontata con grande leggerezza.
 Infine, un'ultima considerazione non può che essere rivolta a mia madre, sua compagna di vita da oltre 50 anni. La presenza di mio padre nella sua vita era significativa e importante, le saremo vicini nella nuova situazione di solitudine che si trova a dover affrontare.
Nei racconti di mio padre c'era anche la loro storia: entrambi appartengono a una generazione che aveva una grande voglia di riscatto dalla miseria, una gran voglia di vivere. Insieme hanno conosciuto i balli degli anni '50 ed entrambi ricordavano con orgoglio e gioia i loro scatenati rock and roll, i cha cha, i balli del mattone.
Probabilmente non c'è mai un momento giusto per morire, ma in questo caso direi che mio babbo è come se avesse scelto di andarsene all'improvviso, al momento giusto evitando un calvario di sofferenza.
Domenica scorsa, due giorni fa, insieme a mio figlio Giacomo, l'ho visto vivo nelle ore che precedevano la morte. Io e Giacomo avevamo pranzato da loro. Avevo visto per la prima volta un uomo veramente provato dalla malattia, stremato. Lui, che aveva un appetito eccezionale, aveva mangiato pochissimo. Mi guardava con occhi che imploravano aiuto e pieni di paura. Se n'è andato prima di cominciare a soffrire davvero, affrontando la malattia con coraggio e dignità.
In questa occasione, io che da molti anni mi sentivo solo padre e non più figlio, che sono sempre stato molto autonomo e indipendente, grazie anche all'insegnamento di libertà ricevuto, torno a sentirmi per una volta figlio".
Poi ho baciato la bara di abete bianco e ho detto Ciao babbo.
Poi ho detto che chi voleva poteva prendere un fiore della corona come ricordo. Io mi sono tenuto una delle rose bianche.

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