La schiuma della memoria

Qui si parla innanzitutto di un romanzo, uscito nel novembre del 2010 presso le edizioni Montag di Tolentino.
Il titolo è La schiuma della memoria e l'ho scritto io.
Poi si parla e si scrive di altre cose, di fotografie e di film, di libri letti e di teatro, di teatroterapia e di paesaggio. E di altro ancora. L'intenzione è comunque quella di raccordare la memoria con l'attualità per ritrovare il senso perduto degli eventi e per non dimenticare personaggi che con le loro vite hanno scritto pagine di storia non solo privata, ma anche collettiva. Molti di essi sono i miei riferimenti culturali e di valore. Il romanzo stesso dialoga con questi contenuti, in modo dinamico, in costante evoluzione, perché la memoria non è cristallizzazione ma è senso e significato. Mi piacerebbe che la lettura del blog desse anche il piacere della scoperta e di un punto di vista sul mondo spostato dalla norma, in qualche modo sorprendente. Buona lettura.

lunedì 18 aprile 2011

Una rosa per i morti sul lavoro

Finalmente un tribunale ha condannato per omicidio volontario un amministratore delegato. La sentenza, davvero storica, è stata pronunciata dalla Corte di Assise di Torino. L'assassino volontario è Il tedesco Harald Espenhahn, amministratore delegato della Thyssenkrupp italiana. E altri cinque dirigenti sono stati condannati per omicidio colposo. Sedici anni e mezzo per il tedesco, tredici anni e dieci anni per gli altri. 
La notte del 6 dicembre 2007, sette operai dello stabilimento di venivano investiti da una fuoriuscita di olio bollente in pressione, che immediatamente prendeva fuoco. Sette sarebbero morti nel giro di un mese, mentre un altro operaio restava ferito in maniera non grave. Critiche all'azienda sono state sollevate da più parti, sia perché alcuni degli operai coinvolti nell'incidente stavano lavorando da 12 ore, avendo quindi accumulato 4 ore di straordinario, sia perché secondo le testimonianze di alcuni operai i sistemi di sicurezza non hanno funzionato (estintori scarichi, idranti malfunzionanti, mancanza di personale specializzato). L'azienda aveva smentito che all'origine dell'incendio vi fosse una violazione degli standard di sicurezza. La Guardia di Finanza ha sequestrato all'amministratore delegato della Thyssenkrupp Italiana un documento dove si affermava che Antonio Boccuzzi, l'unico testimone sopravvissuto, «doveva essere fermato con azioni legali», in quanto sosteneva in televisione accuse pesanti contro la multinazionale. Il documento attribuiva la colpa dell'incendio ai sette operai, che si erano distratti. Per l'amministratore delegato verrà poi formulata dai pubblici ministeri l'ipotesi di reato di omicidio volontario con dolo eventuale e incendio doloso, mentre altri cinque dirigenti saranno accusati di omicidio colposo ed incendio doloso; per tutti l'omissione dolosa dei sistemi antinfortunistici. 
Quindi la sentenza accoglie in toto l'impostazione dell'accusa, sostenuta dal procuratore Guariniello, che commenta così la sentenza: E' il salto più grande di sempre in tutta la giurisprudenza in materia di incidenti sul lavoro. Deve far sperare i lavoratori e far pensare gli imprenditori.Tutte le nostre richieste sono state accolte, ma una condanna non è mai né una vittoria, né una festa. Se si potessero evitare questi processi sarebbe meglio per tutti."
La consapevole negligenza è stata punita: chi avrebbe dovuto investire sulla sicurezza antincendio non l'ha fatto per scelta, per risparmiare, accettando il rischio di un incidente (che l'assicurazione temeva, avendo posto una franchigia di ben 100 milioni!). Infatti Espenhahn posticipò di un anno gli investimenti antincendio relativi a Torino, avendo già programmato la chiusura dello stabilimento, e rinviò gli interventi sulla linea 5, quella dell'incidente, al momento del suo trasloco a Terni. Intanto gli operai a Torino mcontinuavano a lavorare in condizioni sempre più precarie e abbandonati a se stessi. 
Quindi la sentenza ha detto basta alle speculazioni sulla pelle dei lavoratori e ha detto basta all'ipocrisia delle parole: mai che queste morti fossero chiamate con la parola giusta, omicidio. Morti bianche, incidenti sul lavoro, casualità, distrazione degli operai, mancato rispetto da parte dei lavoratori delle n orme di sicurezza. Mai che comparisse la parola omicidio. 
E allora una rosa per questi morti bruciati, i cui nomi in ordine alfabetico sono: Giuseppe De Masi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Roberto Scola. 
I magistrati hanno fatto un ottimo lavoro, lavorato con serietà, dimostrato che la legge può essere uguale per tutti, senza timori reverenziali nei confronti dei potenti di turno.
Una rosa che assume anche il significato di ribadire che i magistrati devono restare indipendenti dal potere politico e devono essere difesi da chi, per interesse personale e illegittimo, vuole screditarli e indebolirli. O renderli ossequiosi nei confronti del potere. E dei primi ministri in particolare.

 

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